Politica per incrementare il turismo a Firenze

Turismo a Firenze (in Toscana)

Una politica per il turismo a Firenze deve dunque comprendere anche una valutazione dei “costi” che esso provoca, consapevoli che non sempre e non tutti detti costi sono “incorporati” nelle transazioni che avvengono nel mercato turistico, né si prestano ad essere fronteggiati con adeguate politiche tributarie.

È una discussione che scivola agevolmente nel rimpianto di un’età “d’oro” del turismo, quando il viaggiatore acquistava e pagava direttamente beni e servizi turistici, fruiva integralmente di tutte le componenti dell’offerta turistica, era munifico verso le imprese, gli artigiani, i lavoratori.

I numeri erano contenuti, i viaggiatori colti e con alto reddito.

L’uso dei beni pubblici era allora modesto.

La permanenza a Firenze era rilevante; la coscienza e la responsabilità a mantenere la qualità dell’offerta turistica era molto elevata; il rispetto delle regole della civile convivenza era diffuso.

Solo che un “iperuranio” turistico ideale non è forse mai esistito, almeno dal 1950 in avanti.

Ma dei problemi del turismo fiorentino già allora si discuteva.

Solo che allora tutti ne auspicavano la crescita.

Lo scenario è oggi completamente diverso; e sembra esserlo – e forse è il caso di augurarcelo – anche la sua futura evoluzione.

Lo scenario ora più plausibile è quello di una domanda turistica mondiale in rapida crescita, sia perché le popolazioni di nuovi continenti sono interessate al turismo in generale ed a quello fiorentino in particolare, sia perché il tasso medio di istruzione è in ascesa nella gran parte del mondo, sia perché la distanza che il turista potenziale deve percorrere dal suo luogo di residenza è sempre minore, in termini di costo e di tempo.

Per queste ragioni una politica concreta per il turismo, fiorentino o meno, deve far propria una figura del turista solo prossima a quella teorica, ma corretta, per cui il turismo è un trasferimento di reddito fra il luogo in cui il reddito è prodotto, a quello in cui è consumato ma con un fine suo proprio: quello di ricercare svago, divertimento, relax.

Solo che in tal modo si finisce per escludere dal movimento turistico tutti coloro che si spostano al solo scopo di produrre un reddito nel luogo ove si recano, oppure vi possono ricercare un consenso politico, svolgere un adempimento legale o amministrativo, procurare un accrescimento di commesse, migliorare od aggiornare il loro sapere professionale oppure preservare lo stato della loro salute.

Nella sua “purezza” il turista resta una figura di riferimento di notevole interesse teorico, ma assai diversa da quanto si vive nella nostra comune esperienza e di cui danno conto le pur insoddisfacenti statistiche internazionali.

Non a caso si parla di turismo per cure mediche, di quello congressuale, di quello burocratico, di quello di studio.

Non a caso, dopo tante energie spese per circoscrivere concettualmente il turismo, nella letteratura specializzata si è tornati alla definizione di turismo come fenomeno conseguente ad uno spostamento nel territorio, ben consapevoli che in quella che chiamiamo domanda turistica si ritrovano ragioni dello spostamento molto diverse, che ne caratterizzano la durata, la domanda, la ripetizione, la stagionalità.

In quella fiorentina la domanda turistica riguarda praticamente tutte (con esclusione di quelle dovute a risorse “naturali”, come quelle marine o montane) le ragioni che possono determinare uno spostamento spazialmente apprezzabile.

È con questa domanda che dobbiamo commisurare le scelte di politica turistica consapevoli che essa non può che essere un insieme di misure che idealmente possono corrispondere alle tante e diverse ragioni del “viaggiare”, e consapevoli che esse possono anche essere fra di loro contraddittorie.

Il turismo a Firenze è come una “bambola russa” dai molti livelli: una volta che se ne scoperchia un volto, ne appare un altro, e poi un altro ancora, e cosi via; ma il volto che abbiamo di fronte è sempre diverso: appagato prima, poi estasiato, poi perplesso, magari insoddisfatto, talvolta anche indispettito.